E’ significativo il modo con il quale, nella tradizione ebraica, si realizzava la cena pasquale: in piedi, con un vestito da viaggio, con i calzari ai piedi e il bastone in mano, pronti a partire. E’ l’atteggiamento di chi non si accontenta del presente, di chi è disponibile ad abbandonare le proprie sicurezze per incamminarsi nel deserto verso una terra ignota, per cercare giustizia e pace.
Gesù celebra con i suoi discepoli e le sue discepole la sua ultima Pasqua per riaffermare questa disponibilità, questo impegno per una società nuova. E durante la cena pasquale aggiunge un ulteriore segno: spezza il pane e versa a tutti il vino per rimarcare il fatto che una società nuova si raggiunge solo con la piena condivisione tra tutti gli esseri umani, superando tutte le distinzioni di etnie, di nazioni, di religioni, di amici e nemici, perché siamo tutti una sola umanità. E nessuno si salva da solo. Questa utopia di Gesù sembra segnata dal fallimento, inchiodata ai legni di una crocifissione. Ma resuscita ogni volta che le persone e le società trovano il modo di uscire da un orizzonte mortifero per intraprendere relazioni nuove: questo significa rinunciare a quella visione egocentrica che vede la propria affermazione collegata all’annientamento dell’avversario. Significa riconoscere che siamo strettamente dipendenti l’un dall’altro e che la nostra felicità si realizza solo nella felicità e nel benessere degli altri e di ogni essere vivente.
Proviamo a passare dalla logica della morte e della guerra, all’impegno per la vita e la pace, con ogni persona, in ogni angolo della terra, con ogni creatura del pianeta.