28.01.24 – Il ricordo di padre Alberto Simoni dell’Ordine di S. Domenico e dell’esperienza di Koinonia

Nella notte fra sabato e domenica 28 gennaio 2024 ha terminato la sua lunga vita terrena il padre dell’Ordine di S. Domenico Alberto Bruno Simoni, da noi più semplicemente conosciuto come padre Alberto.
Come Comunità dell’Isolotto, nell’unirci al dolore dei suoi confratelli, dei familiari e dei tanti amici a lui legati da spirito fraterno, desideriamo ricordarlo per la vicinanza e prossimità alla nostra esperienza di Comunità cristiana di base.
Questa vicinanza si è consolidata anche in questi ultimi anni attraverso numerosi incroci che abbiamo avuto con lui e con l’esperienza comunitaria di “KOINONIA” della quale da oltre cinquanta anni è stato oltre che il fondatore uno degli instancabili animatori con il pensiero e le azioni. Vorremmo solo ricordare la sua partecipazione e il suo contributo alla riflessione sul significato di essere oggi comunità/ecclesia in occasione della Giornata organizzata nel 2018 a cinquanta anni dalla nascita della nostra comunità (si veda il numero di “KOINONIA” dedicato ai 50 anni della Comunità dell’Isolotto); ma anche l’incontro Comunitario organizzato da Koinonia il 29 aprile 2018 al Convento di S. Domenico a Pistoia, per discutere sull’eredità del ’68 nella chiesa fiorentina, al quale aveva invitato Mario Bencivenni, Antonio Schina, Bruno D’Avanzo e Valdo Pasqui.




(Nel disegno di Renato Scianò, da destra, padre Alberto Simoni, Valdo Pasqui, Bruno D’Avanzo, Mario Bencivenni e Antonio Schina)

Nel modo a lui consono, con l’umiltà, la costanza e la fermezza del custode del “giardino/paradiso” delle origini, Padre Alberto si è adoperato sempre nel suo lungo percorso terreno per contribuire a dare forma, secondo le istanze emerse dal Concilio Vaticano II, ad un nuovo modo di essere ecclesia recuperando la centralità del messaggio di Gesù Cristo e del Vangelo.
Lo ringraziamo con profondo affetto per l’importante eredità di pensiero e di opere che lascia a noi e a chi verrà dopo di noi, che lo manterrà vivo nello spirito.
Oltre che con la vignetta di Renato Scianò dell’incontro pistoiese sull’eredità del ’68 nella Chiesa fiorentina vorremmo anche rendergli omaggio e contribuire a far conoscere il suo pensiero a chi non l’avesse conosciuto di persona, riportando uno dei suoi tanti scritti, che testimonia il suo sentirsi “compagno di viaggio” fra la moltitudine in attesa del Regno di Dio, che – Gesù ci ha ricordato – può essere raggiunto solo attraverso il nostro cammino terreno.
Comunità dell’Isolotto, Firenze 30 gennaio 2024

Koinonia: un percorso di ricerca evangelica
di Padre Alberto Simoni*

1 – Premesse [citazione da Enzo Mazzi, 1968. Dall’Isolotto al mondo e ritorno…]
«C’è un’altra cosa, per noi importante, da dire: l’assemblea del 31 ottobre si svolge formalmente per dare una risposta all’ultimatum del cardinale Florit rivolto al parroco don Mazzi: “o ritratti o ti dimetti”. Ma la necessità di rispondere è per così dire la cornice, l’occasione contingente. Al fondo noi sappiamo che c’era altro e ne siamo testimoni. La gestazione veniva da lontano. Era la stessa gestazione, lo stesso processo di trasformazione profonda della società e della Chiesa a cui papa Giovanni aveva dato voce e strumenti operativi convocando il Concilio. Anche senza l’ultimatum del card. Florit si sarebbe giunti a quel parto. Per quanti sforzi facessimo, il Vangelo e l’esigenza di comunità sbattevano costantemente contro il muro del Tempio, cioè contro l’irreformabilità della struttura parrocchiale fondata sul ministero ordinato del parroco. Per la teologia ufficiale, l’ordinazione sacerdotale assimila il prete a Cristo e rende la sua persona sostanzialmente diversa e superiore a tutti gli altri. Il parroco è detentore di un potere o di una potestà che rende di fatto tutti gli altri “sudditi” (così il Diritto Canonico chiama ancora i fedeli). Quanti sforzi avevamo fatto in quindici anni per sciogliere un tale nodo! Ci chiamavamo “comunità parrocchiale” e tentavamo in tutti i modi di esserlo, ma ogni volta sbattevamo contro l’evidenza: una vera comunità non può esistere finché al centro c’è uno che ha tutto il potere e non per volontà sua ma per “volontà di Cristo” e per una seconda natura, quella sacerdotale, di cui non potrà mai spogliarsi.»

Se questo è il nodo da sciogliere, ai nostri giorni siamo arrivati a stringerlo sempre di più in termini identitari ed introversi, come dimostra il successo mondiale del libro di Rod Dreher L‘opzione Benedetto. Una strategia per i cristiani in un mondo post-cristiano” (Paoline 2018), in cui si afferma che «i cristiani dell’Opzione Benedetto guardano alla Scrittura e alla Regola di Benedetto alla ricerca di modalità per coltivare pratiche di comunità» (p.37)
La via di Benedetto è«quella che porta fuori dalla città imperiale in rovina, per raggiungere il luogo pacifico dove possiamo fermarci e imparare a sentire la voce del nostro Maestro. Troviamo altri come noi e costruiamo comunità, scuole per il servizio del Signore. Lo facciamo non per salvare il mondo, ma per nessun altro motivo se non che amiamo Lui e sappiamo di aver bisogno di una comunità e di uno stile di vita ordinato per servirlo in pienezza. Viviamo in modo liturgico, raccontando la nostra Storia sacra nel culto e nel canto… e tutti i racconti che trasmettono cosa vuol dire essere uomini e donne dell’Occidente.»

2 – La parabola “Koinonia”
In questo arco di tempo e di vicende storiche, si colloca sottotraccia l’iniziativa e l’esperienza di ricerca comunitaria che va sotto il nome di Koinonia. Mi permetto di ripercorrere a volo di uccello questo cammino, che peraltro ha origine proprio dalle vicende dell’Isolotto di 50 anni fa: il coinvolgimento personale per ragioni di responsabilità pastorale, ha fatto di questa partecipazione una ispirazione e una chiamata nella mia vita, con la presa di coscienza della istanza post-conciliare e assunzione di responsabilità per il futuro. Al momento di uscire in campo aperto e tentare una esperienza di comunione umana ed ecclesiale dal basso – al di fuori di strutture conventuali e pastorali – i primi a partecipare sono stati amici dell’Isolotto, quasi un trapianto ripartendo da zero.
Erano tempi in cui sembrava in forse il futuro stesso delle parrocchie in vista di una struttura più orizzontale di chiesa al di là di un cristianesimo costantiniano e di una cristianità tridentina: era insomma il passaggio da una “chiesa società perfetta” ad una chiesa “comunione e comunità” tutta da inventare, mentre si parlava di partecipazione e di riappropriazione. I termini in cui veniva configurandosi una prima fase erano quelli di una ricerca evangelica perché la chiesa non fosse più di credenti senza essere comunità, e non fosse comunità senza essere di credenti: che diventasse comunità di credenti, non quelli nominali ma quelli in carne ed ossa. Qualcosa che ha sempre da avvenire!
Nei tempi successivi del riflusso le strutture portanti della chiesa che sembravano destinate a crollare riprendevano vigore, magari rivestendosi di panni nuovi col frasario del dissenso e della contestazione, tanto che le parrocchie diventano comunità e fulcro della evangelizzazione: una mistificazione che perdura e che investe le varie dimensioni ecclesiali, tanto che papa Francesco – in assenza di una distinzione reale interna alla chiesa-mistero – tra chiesa ad intra a chiesa ad extra: tra chiesa della circoncisione e chiesa dei gentili – è costretto a salvare “capre e cavoli” ed essere esposto ad attacchi concentrici.
La consapevolezza che la chiesa è una e non unica, e il fatto che all’origine c’è una differenziazione radicale, ha portato ad imboccare la strada – almeno come linea di tendenza – di una “chiesa dei Gentili” in interfaccia con la “chiesa die Giudei” o della circoncisione, per cui sarebbero da prevedere modelli diversi di comunità: quello dei battezzati praticanti come comunità costituita, e quello di chi viene alla fede come comunità in fieri e in formazione. In uno studio sul tema del 1977, come bilancio prospettico di una esperienza, si parlava di “comunità impossibile”, nel senso che ormai si pensava alla comunità monolitica o come parrocchia o come forma tradizionale di associazione ecclesiale, quale può essere il convento inteso come modello integrato in un sistema clericale di chiesa piuttosto che nel suo significato originario di ritorno al vangelo sine glossa, e cioè – si potrebbe dire – come comunità cristiana di base.
Quando il convento materialmente inteso è stato imposto come unica forma di comunità possibile, il tentativo è stato di enucleare e ripensare in chiave ecclesiale il suo valore evangelico e riproporlo come forma di chiesa – una chiesa in forma convento – come alternativa al modello unico “parrocchia”: se le parrocchie in qualche modo sono improntate sui monasteri, i conventi rappresentano un movimento di base e dal basso, ma quella che viene chiamata “vita religiosa” fa testo e fa problema nella chiesa o è qualcosa di integrato nel sistema?
In ogni caso, a parte la loro rilevanza storica, sembra non far problema neanche il fatto che è in forse la stessa sopravvivenza di questi luoghi tradizionali di vita comunitaria. Se è necessario un ripensamento della chiesa nel suo insieme, a maggior ragione, in tempo di evangelizzazione di base, è lecito interrogarci sulla “vita religiosa”; e chiedersi se orientare la tensione comunitaria connaturale al vangelo verso queste forme standard o liberarla come vento nuovo che non sappiamo di dove venga e dove vada; se potenziare lo status quo o affidarsi alle potenzialità di configurazioni inedite di chiesa e di comunità. Fino ad essere adoratori del Padre in spirito e verità, senza peraltro poter neanche mangiare per dedicarsi alla gente (cr Mc 3,20)

3 – Cosa c’è all’orizzonte per avanzare verso una coscienza attiva di Popolo di Dio nella storia attraverso le situazioni storiche, sociali, culturali e personali in cui ci imbattiamo? Siamo in continua dialettica tra la prospettiva escatologica – le cose ultime – e le anticipazioni nel tempo (le cose penultime), tra il Regno di Dio che viene e le sue manifestazioni. Da questo punto di vista basta chiedersi quali sono i segni, i gesti, i comportamenti, le attitudini, le condizioni che ci introducono in questo Regno e lo rendono presente in mezzo a noi e dentro di noi in tutta la sua potenza, a cominciare dal “credere al vangelo del Regno”: dal bicchier d’acqua dato a chi ha sete alla solidarietà totale del samaritano, dal farsi bambini alla lavanda dei piedi degli altri, dal saluto di pace ad ogni casa alla condivisione della mensa, dalla povertà di spirito del piccolo gregge al dono del Regno fatto ai poveri, dalla apertura e semplicità di cuore alla comprensione e rivelazione delle parabole del Regno, dal ritrovarsi uniti in due o tre alla attesa e alla ricerca prioritaria del Regno.
Si potrebbe continuare nella esemplificazione, ma è già chiaro che qui non c’è nulla di sacrale, di religioso, di rituale, di liturgico ma tutto è sul piano delle relazioni umane che incarnano lo spirito del vangelo nella esistenza quotidiana. In sostanza è lo spirito del Padre nostro, lo spirito delle beatitudini vissuto prima e al di fuori di ogni spazio sacro: è la proiezione nella vita e nella storia della comunità dei credenti che si costituisce nell’ascolto della Parola, nella invocazione solidale, nello spezzare il pane insieme. In modo da essere fermento di lievitazione della socialità, della fraternità, di una città umana nuova: quel nuovo cielo e nuova terra della città santa, la nuova Gerusalemme che scende dal cielo da presso Dio come dimora di Dio con gli uomini: “Egli abiterà con loro, essi saranno suoi popoli e Dio stesso sarà con loro e sarà il loro Dio”. Ma neanche la città santa è il compimento finale, perché è destinata ad entrare e trasfigurarsi nella gloria di Dio: “Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio. La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello” (Ap 21,22-23).

*Intervento alla seconda sessione “Il senso e il valore di essere comunità oggi” delle due giornate organizzate dalla Comunità dell’Isolotto su 1968-2018. Eppure il vento soffia ancora… Fare comunità: pratiche e ricerche a confronto. Incontri, testimonianze, riflessioni per i 50 anni della Comunità dell’Isolotto, Firenze 27-28 ottobre 2018; cfr. Comunità dell’Isolotto, Atti. Firenze, LibriLiberi, 2019, pp. 89-93.

Comunità Isolotto