Dio si presenta a noi, non nei panni di Dio ma con i tratti di una umanità sofferente. Dobbiamo prenderci cura dell’altro come farebbe lui con noi. Ecco perché per essere buoni cattolici non basta andare a messa, questa è devozione, non è Vangelo (don Massimo Biancalani)
Nel corso dell’assemblea riflettiamo insieme sul richiamo del Vangelo e di Isaia a sostenere il povero e lo straniero, sugli interventi di Papa Francesco, sull’atteggiamento della popolazione italiana di fronte ai fenomeni migratori e su come possiamo – insieme ad altre realtà del territorio – sostenere l’esperienza di accoglienza della comunità parrocchiale di Vicofaro a Pistoia che ha aperto la canonica e la chiesa ai migranti. Riflettiamo sulle parole di don Massimo Biancalani, parroco a Vicofaro: ” Dio si presenta a noi non nei panni di Dio, ma con i tratti di una umanità sofferente. Dobbiamo prenderci cura dell’altro come farebbe lui con noi. Ecco perché per essere buoni cattolici non basta andare a messa, questa è devozione, non è Vangelo“.
Qui riportiamo un brano tratto dal libro di Biancalani “Disobbedisco e accolgo” (Ed. San Paolo, 2020), poi a seguire e scaricabile il Fascicolo della Assemblea.
Da “Disobbedisco e accolgo” (pag. 155-159): Le parole che si sono sprecate in questi anni su Vicofaro sono innumerevoli. Un turbinio di sentenze e giudizi che ci ha travolto. Ma pari al vociare è stato il silenzio. Il mutismo di una grande parte di cittadini pistoiesi è stato pesante. Soprattutto quello di una parte del mondo progressista che ha voluto prendere le distanze dalla nostra accoglienza. O quello di molte parrocchie della diocesi di Pistoia che non hanno mai avuto un gesto di vicinanza nei nostri confronti.
Martin Luther King diceva “non ho paura della cattiveria dei malvagi, ma del silenzio degli onesti”. Se nella società coloro che tacciono davanti alle ingiustizie, al mancato rispetto dei diritti fondamentali, al dolore dell’umanità sofferente e afflitta aumentano, c’è da avere paura.
Fin all’inizio di questa storia mi hanno accusato di parlare troppo, di vantarmi, di fare pubblicità. Io ho sempre creduto che fosse fondamentale raccontare. Ho scelto di non stare in silenzio innanzitutto perché ritengo che la Chiesa abbia una funzione profetica sui temi fondamentali della dottrina sociale. Anche papa Francesco, in questo senso, è molto chiaro: la Chiesa deve avere uno sguardo di ampio respiro con un approccio critico alle ingiustizie e una prospettiva verso un modo nuovo, dialogante e senza musi. Prima di questo papa – penso – la Chiesa è stata tenuta molto in disparte dalla dottrina sociale. Se oggi non riusciamo ad affrontare il tema dell’accoglienza in modo aperto e con soluzioni innovative, credo sia anche per l’atteggiamento silente che il mondo ecclesiale ha avuto in tutto questo tempo.
Certo prima della parola viene l’opera. Il Vangelo, anche se il vento spira forte e in senso contrario, ci chiede di fare, ma non ci dice di non parlare. Credo che, se ce n’è l’opportunità, ovvero se qualcuno ci domanda le ragioni del nostro impegno, – nel mio caso dell’impegno nell’accoglienza – si debba rispondere.
Non ho mai cercato i giornali o le tv per mia soddisfazione e per visibilità, ma ho sempre risposto a quanto mi veniva chiesto, con l’obiettivo di far comprendere alle persone il fenomeno dell’immigrazione. In un contesto nel quale i media si orientano a una semplificazione della questione, spesso negativa, manca un altro tipo di narrazione che possa raccontare l’immigrazione nella sua drammaticità e complessità, toccando più da vicino le ragioni dei migranti, il dramma delle morti nel Mediterraneo e nel deserto, le violenze in Libia e le problematiche dell’accoglienza in Italia e in Europa.
Ma non solo. È importante narrare anche la bellezza dell’incontro umano, la ricchezza della condivisione e la preziosità dell’esperienza di comunità. Quando penso a quello che in questi termini succede a Vicofaro ricordo il capitolo 18, 1-15 della Genesi. l’episodio dell’ospitalità di Abramo alel querce di Mamre: “Poi il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ di acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Permettete che vada a prendere un boccone di pane e rinfrancatevi il cuore; dopo, potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto». Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre staia di fior di farina, impastala e fanne focacce». All’armento corse lui stesso, Abramo, prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese latte acido e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse a loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono.
Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». Il Signore riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio». Intanto Sara stava ad ascoltare all’ingresso della tenda ed era dietro di lui. Abramo e Sara erano vecchi, avanti negli anni; era cessato a Sara ciò che avviene regolarmente alle donne. Allora Sara rise dentro di sé e disse: «Avvizzita come sono dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio!». Ma il Signore disse ad Abramo: «Perché Sara ha riso dicendo: Potrò davvero partorire, mentre sono vecchia? C’è forse qualche cosa impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da te alla stessa data e Sara avrà un figlio». Allora Sara negò: «Non ho riso!», perché aveva paura; ma quegli disse: «Sì, hai proprio riso».
È un testo in cui l’incontro con il pellegrino, con lo straniero, diventa quello con Dio. Dio si presenta a noi non nei panni di Dio, ma con i tratti di una umanità sofferente. Dobbiamo prenderci cura dell’altro come farebbe lui con noi. Ecco perché per essere buoni cattolici non basta andare a messa, questa è devozione, non è Vangelo.
Chiudersi esclusivamente in chiesa e pregare mentre fuori il mondo è sopraffatto dalle ingiustizie sociali, mettendo la testa sotto la sabbia come struzzi non è quello che i cristiani sono chiamati a fare oggi. Siamo chiamati a uscire, aprire le nostre porte e far sentire la voce degli ultimi.