
Da molti mesi cerchiamo ogni modo di connetterci con altri/e, a Firenze e non solo, perché si alzi alto il grido “Fermate il genocidio a Gaza e in Palestina“.
Abbiamo letto le argomentazioni di Francesca Albanese relatrice per l’Onu dei territori palestinesi occupati a cui va tutto il nostro supporto, così come abbiamo letto quelle della Corte Penale Internazionale e della Corte internazionale di Giustizia; abbiamo raccolto i racconti di alcune giovani palestinesi qui a Firenze; abbiamo ripercorso la storia israelo-palestinese con il supporto di AssoPace Palestina; abbiamo visto con orrore e commozione i documentari “Erasmus a Gaza”, “No Other Land” e “La voce di Hind Rajab”; abbiamo con convinzione ed emozione seguito e sostenuto la Global Sumud Flottilla nella quale ci siamo riconosciuti; abbiamo seguito con sgomento e orrore le dichiarazioni del governo israeliano; e abbiamo simpatizzato con quegli ebrei, israeliani e non, che hanno alzato la loro voce contro il genocidio; abbiamo letto in Piazza Signoria insieme a Donne insieme per la Pace i nomi dei bambini morti in questo genocidio. Abbiamo partecipato agli “Urli per Gaza” della brigata sonora del collettivo di fabbrica ex-Gkn; abbiamo combattuto quel sentimento di impotenza e rassegnazione che si insinua e rischia di paralizzare; abbiamo scambiato, ogni prima domenica del mese nel corso degli incontri Insieme per la Pace nella Piazza dell’Isolotto, pensieri, preoccupazioni e speranze; abbiamo ascoltato le parole del card. Pizzaballa e quelle provenienti dalla parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza; abbiamo partecipato ad ogni piccola e grande manifestazione, preghiera, fiaccolata, sciopero, camminata, iniziativa.

In qualche momento si è manifestata, anche nella nostra mente, la domanda “ma dov’è Dio?”, la stessa domanda che si posero alcuni di fronte all’Olocausto; ma da molto tempo non pensiamo Dio come una divinità maschile, onnisciente, onnipotente, esterna e interventista, bensì come tutta quella energia amorevole che abita l’universo e che informa il senso di umanità e di solidarietà di cui siamo capaci. Dio sta nelle vittime e in coloro che sanno essere loro prossime.
Domenica 5 ottobre nell’incontro di Insieme per la pace e poi nel corso della Assemblea comunitaria abbiamo letto e meditato la lettera del 27 agosto 2025 di suor Giovanna della comunità di Ma’in, Giordania che riportiamo qui.
Dove siamo noi?
di suor Giovanna della comunità di Ma’in, Giordania, 27 agosto 2025
Perdonatemi se vi scrivo ancora — è la terza volta. Ma lo faccio con il cuore sempre più pesante. Le notizie che arrivano sono ogni giorno più dolorose, più atroci. Ieri sera Netanyahu ha approvato un nuovo attacco su Gaza, per “distruggere tutto”. Io non ce la faccio più a restare ferma. La mia coscienza mi tormenta, perché questo restare inerti — questo non fare nulla — ci rende complici. Complici di un genocidio.
Mi è stato detto più volte: “Tanto non serve a nulla”. Ma questa frase è intrisa di una rassegnazione che non possiamo più permetterci. È un grido disperato che paralizza ogni possibilità di agire. E invece dobbiamo credere che ogni gesto di verità, ogni preghiera pubblica, ogni appello sincero possano rompere l’assuefazione, risvegliare le coscienze — e forse anche spingere chi ha potere a muoversi.
Non possiamo cedere alla logica dell’impotenza. Non possiamo tacere.
Mi addolora profondamente vedere una Chiesa quasi silente. Non mi do pace al pensiero che da parte delle comunità religiose non sia nata alcuna iniziativa concreta. Forse perché ci siamo abituati a pensare che la testimonianza debba essere “interiore”, “silenziosa”, “nascosta”. Ma oggi, davanti a una tragedia di queste proporzioni, non c’è nulla di più scandaloso del silenzio religioso.
Forse si teme di “esporsi troppo”, di “entrare nel politico”, di “rompere gli equilibri”… Ma non può esserci neutralità davanti a un genocidio. O si è complici, o si sceglie la verità. E oggi, la verità urla dalle macerie di Gaza.
Decine di migliaia di morti, bambini mutilati nel corpo e nell’anima, ospedali distrutti, famiglie cancellate. Tutto questo accade nel silenzio — o nella complicità — di molti poteri, anche religiosi. Non basta più dirsi “in preghiera”. Non basta condannare “la violenza in generale”. Dove siamo noi, mentre un popolo viene annientato? Dove sono le nostre comunità, le nostre diocesi? Dove sono le parole profetiche? Dove sono i gesti concreti? La Chiesa non è una un’organizzazione fra le altre, né un’istituzione neutrale: è il Corpo di Cristo.
E allora, forse è arrivato il momento di mettere il nostro corpo accanto a quello crocifisso dell’umanità. Non possiamo restare lontani dal pianto degli innocenti. Vi supplico ancora di prendere contatto con le comunità sorelle, con altre comunità religiose. E ancora vi ripropongo quello che da mesi mi sembra l’unico gesto possibile: radunare un centinaio tra religiose e religiosi, e andare a Roma, davanti al Quirinale, a pregare giorno e notte, a leggere i Salmi e il Vangelo. A chiedere con la forza mite della preghiera che il governo italiano interrompa ogni vendita di armi a Israele, che si rompano i legami economici con chi porta avanti un’opera di annientamento. E poi, andiamo anche in piazza San Pietro, con cartelli semplici, diretti, che chiedano al Papa di muoversi: di andare a Gaza, di condannare pubblicamente Israele, di lanciare appelli incessanti perché i Paesi occidentali si mobilitino per fermare il genocidio. Stiamo lì, giorno e notte, a leggere i salmi e il Vangelo. Se la nostra arma è la preghiera, allora è il momento di usarla in modo visibile. Ma se a qualcuno avesse una idea migliore ben venga , ma non possiamo rimanere tranquilli nei nostri conventi.
Forse anch’io mi sento stanca, scoraggiata, delusa. Ma la mia coscienza non mi lascia in pace.
E un giorno i nostri figli — o i bambini sopravvissuti di Gaza — ci chiederanno: «E tu, dov’eri?»
Vi prego: fate girare questa lettera a tutti i fratelli e le sorelle e anche alle comunità sorelle. Pregate per me.